mercoledì 30 marzo 2016

Insonnia: cos'è e come affrontarla






Si definisce insonnia lo stato in cui una persona percepisce il proprio sonno come insufficiente o insoddisfacente; in altre parole quando la persona non riesce a trarre beneficio dal riposo perché dorme troppo poco o male.
L'insonnia fa parte dei disturbi del sonno detti dissonnie, cioè quei disturbi che alterano il ritmo e la qualità del sonno causando poi stanchezza e maluomore.
Questo disturbo è variabile e non ha cause univoche, esso si presenta in modi diversi e per la diagnosi vengono considerati tre fattori:

- Durata: varia da persona a persona e può anche variare nel corso della vita dello stesso individuo che ne soffre, essa può essere occasionale, transitoria o cronica

- Cause: Ci può essere l'insonnia che non ha cause organiche o psicologiche (detta primaria) o l'insonnia (detta secondaria) causata da malattie di origine organica o psicologica come ad esempio la depressione.

-Tipologia: L'insonnia può essere di diversi tipi; distinguiamo, infatti, l'insonnia iniziale, quando la persona fa fatica ad addormentarsi. L'insonnia centrale,  quando la persona ha dei risvegli notturni. Infine l'insonnia tardiva caratterizzata da un risveglio precoce.
C'è ancora un altro tipo di insonnia più difficile da identificare, essa è caratterizzata dalla sensazione della persona di non aver dormito bene nonostante i dati oggettivi non riscontrino anomalie nel sonno, questa è definita Soggettiva.

Curare l'insonnia:

Negli ultimi anni le cure non farmacologiche hanno avuto dei riscontri positivi nella cura di questo disturbo, infatti tecniche di rilassamento associate ad un'educazione alle cattive abitudini messe in atto prima di andare a dormire (come pensieri ossessivi, tensione muscolare ecc..) possono portare a dei notevoli miglioramenti nella cura dell'insonnia di tipo primario (cioè non dovuta a cause organiche).
Si è visto infatti che il 70/80% di persone che si sottopone a questo tipo di intervento migliora significativamente la qualità del sonno.

Alcuni consigli:

Per dormire bene è importante attuare delle buone abitudini quotidiane che non sono legate esclusivamente al sonno.
Ad esempio cattive abitudini alimentari possono causare reflussi notturni con conseguenti disturbi del sonno, ci avevate mai pensato?
Allo stesso modo fare attività fisica non solo permette di star meglio fisicamente, ma riduce notevolmente lo stress che è una delle principali cause dell'insonnia primaria.
Dormire bene è fondamentale per il benessere psico-fisico, chi svolge lavori stressanti o di grande responsabilità, dorme generalmente di meno, anche a causa delle maggiori preoccupazioni.
Ciascuno, tuttavia, dorme in base alle sue necessità, ma se una persona dorme per un numero di ore minore rispetto a quello che sente necessario, allora con il tempo accumulerà un “debito di sonno” in grado di influenzare la sua attività quotidiana, il suo umore e la qualità della sua vita.
Dormire bene è importantissimo e per migliorare la qualità del sonno ecco alcune buone abitudini da mettere in pratica:

- Andare a dormire la sera e svegliarsi la mattina sempre alla stessa ora (anche durante il fine settimana)
- Se ci svegliamo prima che la sveglia abbia suonato, alziamoci e iniziamo la nostra giornata
- Non fare pisolini diurni e non rimettersi a dormire la mattina se abbiamo passato una notte insonne
- Andare a dormire solo quando si ha davvero sonno
- Se non si riesce a prendere sonno alzarsi e fare attività rilassanti (come leggere un libro o ascoltare della musica rilassante)
- Fare attività rilassanti prima di andare a dormire
- Evitare di mangiare prima di coricarsi o se proprio si ha fame scegliere qualcosa di leggero
- Dormire in una stanza accogliente, protetta e alla giusta temperatura 
- Avere abitudini alimentari corrette e svolgere regolarmente attività fisica (non la sera prima di coricarsi)

Ecco adesso siete pronti per farvi una bella dormita!

Ovviamente questi sono solo alcuni consigli, chi soffre di insonnia necessita di un supporto psicologico e in alcuni casi anche farmacologico, tuttavia partire da un corretto stile di vita è un buon passo per iniziare a guarire da questo disturbo.

A presto...
Dott.ssa Silvia Mauro 



lunedì 7 marzo 2016

Genitori imperfetti

Genitori imperfetti



La perfezione non esiste, e io aggiungerei meno male.
Spesso i genitori sperano di poter essere “perfetti” e di poter soddisfare tutti i bisogni dei propri figli, ma siamo proprio sicuri che questo sia un bene per loro?
Ebbene come già sosteneva lo psicoanalista Winnicott, una madre non deve essere perfetta, ma bensì sufficientemente buona, cioè una mamma con i propri limiti, ma presente a livello affettivo, una madre che può sbagliare (perchè errare è umano). Portare avanti dei modelli di “perfezione” può essere frustrante per noi e per i nostri figli che tenderanno al raggiungimento di tale perfezione irraggiungibile.
Inoltre una madre eccessivamente presente non lascia spazio di sperimentazione al proprio bambino e non gli permette di esplorare il mondo con i propri tempi e modi.
Prendiamo ad esempio una madre di un bambino di 10 mesi che non ha ancora iniziato a parlare e che indica gli oggetti per raggiungerli, se questa madre ad ogni accenno del bambino porgerà tali oggetti egli non sentirà il bisogno di iniziare a parlare (che costa fatica) ma bensì troverà più comodo e facile indicare gli oggetti perchè saprà di avere una madre che risponderà immediatamente a tale richiesta.
Una madre sufficientemente buona, può anche non accorgersi o non capire il bambino in quel momento ed egli sarà “costretto” a sforzarsi ad usare il linguaggio per farsi capire.
Ovviamente questo non vuol dire che una madre sufficientemente buona sia una madre trascurante, anzi, è una madre accudente, presente a livello affettivo una madre che permette l'esplorazione del mondo ma che con la propria presenza rassicura questa esplorazione senza soffocarla.
I genitori spesso hanno timore di sbagliare e molto probabilmente compiranno degli errori in quanto non sempre è semplice comprendere le esigenze del proprio bambino.
A volte ciò che noi interpretiamo dei nostri figli non sarà del tutto corretto e di conseguenza di fronte a certi comportamenti potremmo non fare la scelta giusta.
Prendiamo ad esempio un bambino aggressivo ed irruento, che spesso viene rimproverato per questa sua aggressività e non viene capito.
Ebbene dietro l'aggressività può essere celato un mondo interno con mille sfaccettature diverse talmente complicate da non essere comprese neanche dal bambino stesso che come reazione a questa confusione genera aggressività.
A volte dietro l'aggressività c'è una profonda sofferenza così come dietro ad un comportamento troppo compiacente.
Ovviamente non è detto che sia così per tutti in quanto ognuno di noi è unico, e ciò che vale per una persona non necessariamente vale per un'altra, per questo è importante conoscersi e conoscere i nostri figli per saperli aiutare nel modo migliore.
Come si può intuire essere genitori non è semplice a volte è necessario chiedere un aiuto esterno e di confrontarsi con qualcuno che ci aiuti a comprendere i nostri figli per potersi migliorare e crescere insieme a loro.
A questo proposito consiglio un'ottima lettura di Alba Marcoli ,“Il bambino nascosto” Favole per capire la psicologia nostra e dei nostri figli. Edizione Oscar saggi mondadori.
È un libro fruibile a tutti in quanto sono favole scritte inizialmente per i bambini, ma poi rivelatesi utili ai genitori per comprender il mondo interno dei propri figli.
Buona lettura.
A presto


martedì 23 febbraio 2016

quando e perché andare dallo psicologo

Quanti di voi hanno pensato almeno una volta che un aiuto esterno di un professionista gli sarebbe stato utile per affrontare una difficoltà momentanea, una scelta difficile, un momento di passaggio ecc..?
Lo psicologo svolge una funzione di aiuto molto importante per affrontare alcuni momenti importanti o difficili della nostra vita.
La scelta dello psicologo è sicuramente un processo importante e difficile, e spesso ci si affida a professionisti consigliati da amici o conosciuti attraverso il passaparola.
Questo metodo sicuramente permette di giungere in modo rapido ad una scelta difficile e risulta una scelta rassicurante in quanto ci sembra di  "conoscere" indirettamente quel professionista.
Tuttavia, bisogna considerare che la relazione che si instaura tra psicologo e cliente è variabile, dipende da persona a persona in quanto rispetta l'unicità di ogni individuo.
Inoltre è da considerare il fatto che il problema che ha il nostro amico/a, familiare, conoscente ecc.. non sarà mai lo stesso nostro, in quanto ognuno di noi vive ed elabora le situazioni in modo unico ed inimitabile.
Ne consegue che la scelta dello psicologo rimane una scelta soggettiva che rimanda a più vissuti non solo legati all'esperienza, alla "conoscenza" o alla "scuola di pensiero" a cui lo psicologo fa riferimento, ma sopratutto a vissuti emotivi che si provano nella relazione e che sono fondamentali al percorso che si andrà ad intraprendere.
Proprio per questo motivo molti professionisti propongono una prima fase di conoscenza gratuita per permettere al cliente di scegliere con massima libertà se vorrà o meno intraprendere questo percorso.
Se siete interessati a saperne di più, a conoscere i costi, i metodi, gli strumenti, le modalità di lavoro o qualsiasi domanda o dubbio contattatemi e visitate il mio sito.

http://silviamauropsicologa.wix.com/psicologia


giovedì 15 ottobre 2015

La psicoterapia e i cambiamenti neuronali.







Questo post è dedicato non solo a coloro che "non credono" nella psicoterapia, ma anche a tutte quelle persone che, pur credendo nell'efficacia di questa, non credono che il cambiamento che essa apporti sia tangibile.

Ebbene la scienza ed in particolare le Neuroscienze, ci hanno permesso oggi di verificare a livello tangibile quali cambiamenti comporti la Psicoterapia a livello neuronale.

Le Neuroscienze hanno dimostrato, infatti, che i processi di apprendimento e memoria, in seguito ad esperienze ambientali ed interpersonali, modifichino la struttura cerebrale.

Come sappiamo, la psicoterapia, produce dei cambiamenti a livello cognitivo e comportamentale, questi cambiamenti sono dovuti ad un processo di apprendimento, di nuovi pensieri e comportamenti, dato dall'interazione e quindi dalle esperienze.
Tali esperienze vengono registrate nelle reti neuronali che formano il cervello (questi cambiamenti sono possibili grazie ad una caratteristica dei neuroni detta Plasticità neuronale), quindi le nostre esperienze modificano il cervello a livello fisico ed ognuno di noi avrà diverse dimensioni, numero di neuroni, numero di connessioni neuronali ecc...

Un esempio pratico di plasticità neuronale?
Ad esempio è stato visto come i guidatori di Taxi Londinesi abbiano l'ippocampo (importante per la memoria e la ricerca visuo-spaziale) più sviluppato rispetto a chi non guida i taxi!

Allora, risulta ovvio come, anche la Psicoterapia, soprattutto quella mirata a produrre dei cambiamenti cognitivi e comportamentali, vada a modificare la nostra struttura neuronale, proprio perchè biologicamente il nostro cervello è predisposto al continuo cambiamento questo grazie a questa sorprendente caratteristica (plasticità neuronale) che fa sì che ognuno di noi, in base alle proprie esperienze sviluppi determinate aree piuttosto che altre.

Allora ancora convinti che la psicoterapia non funzioni?


martedì 13 ottobre 2015

"Scelte in conflitto".






Di Silvia Mauro

Chi di voi di fronte ad una scelta (lavorativa, di percorso di studi, privata....) si è sentito in conflitto con i propri pensieri che risultavano opposti ma di uguale intensità? 

Oggi cercherò di spiegare brevemente cosa avviene nella nostra mente in queste circostanze.

Una delle teorie più conosciute in questo ambito è quella di Kurt Lewin, in ambito Gestaltico, che ha formulato una teoria del conflitto definendo questo come un processo individuale in cui l'individuo si trova quando è messo di fronte a due forze contrapposte ma di uguale intensità.

Un esempio pratico si può trovare nei momenti di scelta, in cui l'individuo deve "pesare" quali elementi, per compiere la scelta, abbiano più rilevanza. Se tutti hanno lo stesso peso ma vanno in due direzioni opposte ecco che nasce il conflitto.
Vi sono, tuttavia, diversi tipi di conflitto alcuni più semplici da risolvere ed altri più difficili.

Ad esempio un tipo di conflitto più "innocuo" è quello di tipo attrazione-attrazione in cui la scelta da compiere è tra due situazioni ambite nello stesso modo, la scelta, tuttavia, risulta difficile in quanto implica la rinuncia ad una delle due opzioni. 
Il rischio è" l'immobilità": non si compie nessuna delle due scelte per paura di sbagliare.
La soluzione è compiere una scelta esaltandola e denigrando l'opzione scartata (questo permette la risoluzione del conflitto).

Un altro tipo di conflitto è quello di tipo attrazione-avversione in cui la scelta da compiere è verso un oggetto che ha sia caratteristiche attraenti che repulsive.
Per fare un esempio attuale: scegliere di fare un lavoro gratificante, ma mal retribuito. 
il soggetto posto di fronte a questa scelta ha paura di avvicinarsi, ma ricevendo così un danno, oppure allontanarsi e rinunciare così alla componente positiva. Anche in questo caso il rischio è la sospensione della decisione.

Vi sono poi altri tipi di conflitto come ad esempio quello tra due tendenze avversative, in cui entrambe le opzioni sono negative e si sceglie quella che comporta meno sacrifici; oppure quello tra più tendenze appetitive e avversative in cui gli oggetti evocano contemporaneamente avversione e attrazione (ritornando all'esempio del lavoro, l'individuo deve scegliere tra due lavori che hanno sia punti di forza che punti di debolezza).

Ebbene da quanto detto fino ad adesso,  è intuibile come quotidianamente ci troviamo di fronte a delle scelte e dei conflitti. 
Il rischio è tuttavia quello di rimanere "paralizzati" dalle nostre scelte, dalla paura di perdere qualcosa o di avvicinarsi troppo.

I conflitti possono essere di diversa tipologia ed intensità, quello che è importante,  è riuscire a trovare un modo per compiere la nostra scelta e andare avanti nel nostro percorso di crescita che, per fortuna, dura tutta la vita.


lunedì 12 ottobre 2015

Guardie e carcerati: Un esperimento sociale.






Di Silvia Mauro

La psicologia offre importanti spunti di riflessione non solo sull'individuo, ma anche sulle dinamiche sociali.
Oggi voglio presentare un esperimento fatto da Zimbardo negli anni '70 che ha lasciato il segno nella storia della psicologia.

Negli anni'70 Zimbardo, (partendo dal principio di "deindividuazione" nelle folle di Le Bon) voleva comprendere come l'adesione ad un gruppo o ad un ruolo sociale, influenzasse il comportamento al punto da arrivare a facilitare la comparsa di comportamenti antisociali. 

Egli cercò di comprendere questo fenomeno attraverso il suo famoso esperimento delle carceri, in cui reclutò un gruppo di partecipanti e li divise in due gruppi: Guardie e Carcerati.
I partecipanti furono poi portati in una "prigione" allestita nei sotterranei della facoltà di Psicologia di Stanford.
Le celle ospitavano ognuna tre prigionieri che vi restavano tutto il giorno, mentre le guardie avevano turni da 8 ore in gruppi da tre (vi erano degli spazi dedicati solo alle guardie).

Ebbene, dopo solo 6 giorni, l'esperimento fu interrotto in quanto aveva provocato troppo stress ai partecipanti; in breve tempo, infatti, l'ostilità e l'aggressività presero il sopravvento. 
Le guardie diventarono aggressive e prepotenti, maltrattavano i carcerati verbalmente e fisicamente, al punto che molti chiesero di sospendere l'esperimento.

Ma cosa successe durante l'esperimento?

Durante l'esperimento, i partecipanti si immedesimarono talmente tanto nel ruolo da far si che si verificassero alcuni fenomeni come quello della responsabilità condivisa: in cui gli individui, inseriti in un gruppo, "delegano" la responsabilità  delle proprie azioni al gruppo, facendo sì che la messa in atto di certi comportamenti porti meno sensi di colpa, assenza di paura e vergogna.
Questo fenomeno è stato molto studiato in psicologia sociale, soprattutto dopo la seconda guerra mondiale, per cercare di comprendere come gli individui arrivino a commettere certe azioni (tema più che mai attuale).

Ad ogni modo, l'esperimento di Zimbardo fu molto criticato da un punto di vista etico, tuttavia i risultati sono stati fondamentali per comprendere come le dinamiche di gruppo e l'identificazione di ruolo possano portare ad una perdita di responsabilità personale al punto tale da perdere il senso delle conseguenze delle proprie azioni.

Per chi fosse interessato, è stato fatto anche un Film su questo esperimento : "The Experiment";
Mentre per gli amanti della radio consiglio il programma di Carlo Lucarelli (Dee giallo), in cui in una puntata racconta l'esperimento : https://www.youtube.com/watch?v=YvbEKjc__3Y

giovedì 8 ottobre 2015

Motivare al successo










Oggi affronterò il tema della motivazione.

Tutti ne abbiamo sentito parlare e, almeno in generale, sappiamo di cosa si tratta.
Chi non ha mai pensato "ho perso la motivazione" oppure "non sono abbastanza motivato"?
Ebbene oggi vorrei approfondire proprio questo tema, soffermandomi in particolare su quello specifico tipo di motivazione che ci spinge ad avere successo.

Partiamo con una prima definizione di Motivazione: essa è il movente di un comportamento; la spinta a mettere in atto comportamenti mirati al raggiungimento di uno o più obiettivi.
Risulta chiaro, quindi, come per raggiungere un determinato obiettivo, sia fondamentale avere la"giusta" motivazione; che può essere di tipo estrinseco (l'attività viene svolta per ottenere un premio) o  di tipo intrinseco (l'attività viene svolta in quanto sentita come gratificante); quest'ultimo tipo di motivazione è quella più duratura e più importante al fine del raggiungimento di un obiettivo.

La motivazione si forma nell'infanzia, in particolare un tipo di motivazione, quella definita da Mc Clelland, motivazione al successo nasce dall'interazione con le figure genitoriali.

La motivazione al successo consiste nella ricerca di affermazione, di perfezione e di eccellenza.
Chi è spinto da questo tipo di motivazione si pone obiettivi elevati ma realistici come dimostrato da Mc Clelland in un esperimento in cui i bambini erano sottoposti ad un compito che consisteva 
nel gettare degli anelli in un piolo.
Egli osservò come i bambini con bassa motivazione al successo si ponevano ad una distanza o molto ravvicinata (il compito risultava molo semplice) o esageratamente lontana (il compito risultava impossibile).
I bambini con la giusta motivazione al successo, invece, si ponevano ad una distanza intermedia dal piolo, in modo che il compito fosse sufficientemente impegnativo ma non impossibile.

Altri studi si sono interessati a comprendere questo tipo di motivazione, in particolare al rapporto tra questa e la relazione con le figure genitoriali.
Rosen e D'Andrade, hanno evidenziato come i bambini con elevata motivazione al successo, avevano madri che incoraggiavano all'indipendenza e  premiavano le prestazioni con manifestazioni d'affetto.
Bambini con bassa motivazione al successo avevano, invece, madri svalutanti e padri intrusivi che non solo si intromettevano nell'esecuzione del compito del figlio, ma criticavano anche i risultati, irritandosi quando i bambini non riuscivano nel compito.

In conclusione la motivazione è fondamentale nel raggiungimento di un obbiettivo, in particolare quella al successo permette di cercare l'eccellenza ponendosi degli obiettivi realistici ma elevati, quindi permettendo agli individui di avere un'alta probabilità di sperimentare il successo.
Essa si forma nell'infanzia nell'interazione con i genitori che non devono avere aspettative troppo elevate e irrealistiche, ma neanche troppo basse e svalutanti.
E' importante, quindi,  che essi sappiano adeguare le aspettative sulla base dell'individualità dei bambini, conoscendone i limiti ed evidenziando i loro punti di forza, assecondando le loro attitudini e premiandoli, nei momenti opportuni, con manifestazioni d'affetto.

Di Silvia  Mauro